Dinanzi all’istanza di condono edilizio, è possibile sospendere l’ordine di demolizione delle opere giudicate abusive? E quando è possibile richiedere e ottenere la revoca dello stesso ordine?

A contribuire a fare luce e chiarezza su tali quesiti è intervenuta la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 4279 del 3 febbraio 2021 ha confermato il consolidato orientamento in tema di abusi edilizi, spiegando quali siano i contorni che consentono di ammettere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione emesso.

Il caso

Per poter comprendere quali siano state le motivazioni degli Ermellini può essere utile riepilogare brevemente quale sia stato il caso sottoposto ai giudici di Cassazione, in cui il ricorrente domanda l’annullamento dell’ordinanza della Corte d’Appello che in funzione di giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza finalizzata a ottenere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione delle opere realizzate in modo abusivo.

In particolare, il ricorrente dichiara che il giudice avrebbe esercitato in maniera illegittima una potestà riservata agli organi amministrativi, essendosi sostituito al Comune nel valutare i presupposti e le condizioni utili perché si potesse accedere ai benefici del condono edilizio, già richiesto.

Inoltre, il ricorrente afferma che essendo intervenuto successivamente alla proposizione dell’istanza di condono l’annullamento in sede di autotutela della concessione edilizia, la condizione ostativa del superamento dei limiti di cubatura previsti dalla legge di condono edilizio non troverebbe applicazione nella fattispecie, in forza della clausola derogatoria.

Quando può essere revocato o speso un ordine di demolizione

Nelle proprie motivazioni alla sentenza, la Corte di Cassazione rammenta quali siano le condizioni per le quali può essere revocato o speso un ordine di demolizione, quale conseguenza della presentazione di una istanza di condono o di sanatoria.

In particolare, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è previsto l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere come plausibile l’adozione da parte delle autorità amministrative competenti del provvedimento di accoglimento.

In tali ipotesi, rammentano ancora i giudici della Suprema Corte, il giudice dell’esecuzione deve esaminare gli esiti possibili, e i tempi di conclusione del procedimento amministrativo, soffermandosi in particolare modo sul prevedibile risultato dell’istanza, e sulla durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solamente nel caso di un suo rapido esaurimento.

I limiti di cubatura

Quindi, in relazione alla condizione ostativa del superamento dei limiti di cubatura di cui alla legge del condono edilizio, stando a quanto previsto ex art. 39 della l. 23 dicembre 1995, n. 724, i limiti di cubatura stabiliti che sono previsti per la condizionabilità delle opere (750 mc) non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia, laddove l’opera abusiva sia stata realizzata in forza di un provvedimento che è poi stato successivamente annullato dall’autorità amministrativa o dal giudice amministrativo.

È evidente che l’obiettivo del legislatore, come interpretato dal giudice, sia quello di permettere una maggiore condonabilità di quelle opere edificate in forza di un titolo illegittimamente o illecitamente rilasciato, ma solamente quando il formale riconoscimento del vizio sia intervenuto ex post.

Nella fattispecie in esame, però, non si è verificata questa situazione: le opere abusive erano infatti tali già in origine, essendo iniziate in un momento in cui la concessione edilizia era già di per sé divenuta inefficace, e sospesa con ordinanza sindacale.

Di qui, le conclusioni dei giudici della Corte di Cassazione, con l’opinione dell’ultimo grado di giudizio che si inserisce in un orientamento in materia di abusi edilizi oramai ben confermato e radicato, su cui tale pronuncia finisce pertanto con l’inserirsi a pieno titolo.