La veranda può essere considerata un’opera minimale o pertinenziale? Considerato che il tema non è certo marginale, del tema si è recentemente occupato il TAR Campania, con sentenza n. 4280/2021. Ma in che termini?

Il caso non è certo nuovo: il proprietario di un immobile realizza delle verande abusive e il Comune ordina la demolizione e il ripristino dei luoghi. Salvo il caso in cui – come in questa ipotesi – il proprietario non ricorra in giudizio per far valere le proprie tesi.

Ebbene, in questo senso i giudici del TAR Campania hanno chiarito che le verande non possono essere considerate né opere minimali né opere pertinenziali, soffermandosi poi sul fatto che la pertinenza urbanistica non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza solamente perché sono destinate al servizio di un bene qualificato principale.

In altri termini, affermano i giudici amministrativi, “il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale -si legge nella sentenza – siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono”.

In tal senso, i giudici amministrativi ben integrano la propria pronuncia sulla giurisprudenza consolidata, per la quale tutti gli interventi che determinano una variazione planovolumetrica e architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzati, come le verande edificate sulla balconata o su un terrazzo di copertura dell’appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire. “Ciò in quanto – precisa la pronuncia – in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile”.

Peraltro i giudici evidenziano come in questo ambito non sia certamente rilevante la scelta dei materiali da utilizzare per la realizzazione della veranda, poiché la chiusura – anche laddove realizzata con pannelli in alluminio o di legno, è pur sempre in grado di costituire un aumento volumetrico. Insomma, le verande sono sempre in grado di modificare i prospetti. E, dunque, ex DPR 380/2001, è un intervento di ristrutturazione edilizia.

Tornando al caso in esame, il proprietario delle verande abusive contestava al Comune di non aver sufficientemente motivato l’ordine di demolizione. Tuttavia, i giudici affermano che in presenza di opere abusive “l’ordine di rimessione in pristino è da intendersi come provvedimento doveroso. L’abusività delle opere – nel caso analizzato completamente acclarata – rende, infatti, l’ordine di demolizione rigidamente vincolato ragion per cui, persino in rapporto alla tutela dell’affidamento, esso non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati non essendo, peraltro, configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto”.

Nemmeno è richiesto, peraltro, un motivo sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione. “L’interesse pubblico alla demolizione è, infatti, “in re ipsa”, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato” – affermano i giudici.