La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 31356/2021, è intervenuta sul tema dell’esposizione del cartello di cantiere, sancendo quando questa sia obbligatoria e quando invece non lo sia.
In particolare, nel caso in esame, l’appellante si opponeva alla condanna ricevuta per la mancata apposizione del cartello di cantiere sostenendo che l’opera realizzata fosse soggetta solamente a SCIA e, rispetto a tale titolo, il regolamento comunale di riferimento non avrebbe sancito questo obbligo. Anzi, il regolamento comunale non avrebbe contemplato in alcun modo la SCIA, riferendosi invece a “concessione edilizia”.
Nello stesso ricorso, inoltre, l’appellante contestava l’acquisizione da parte del giudice del regolamento comunale, considerato che si tratterebbe di un atto amministrativo acquisito fuori da ogni regola, valutato che non era nel fascicolo del P.M., e che il giudice avrebbe dovuto acquisirlo d’ufficio, invece che consultarlo sul sito internet del Comune.
La posizione della Cassazione
Dinanzi a questi motivi di ricorso, però, i giudici della Suprema Corte hanno rigettato le pretese del ricorrente, sostenendo in particolar modo che lo stesso regolamento edilizio comunale stabilisce come il titolare della concessione o dell’attestazione di conformità ha il dovere – al momento dell’inizio dei lavori – di collocare sul luogo degli stessi un cartello, a caratteri ben visibili, che indichi:
le opere in corso di realizzazione
la natura e gli estremi dell’atto che abilita all’esecuzione delle opere
il nominativo di:
titolare dell’atto abilitante
progettista
direttore dei lavori
esecutore dei lavori
calcolatore delle strutture, ove previsto
direttore dei lavori delle strutture, ove previsto
coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, ove previsto
coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, ove previsto.
Così affermato i giudici ricordano come l’attestazione di conformità riguarda anche le opere di ristrutturazione edilizia, e che la SCIA può essere considerata – in tal senso – come una sorta di evoluzione del titolo abilitativo originario.
Come conseguenza, anche se con una denominazione differente, nella fattispecie non solamente era richiesta la SCIA, quanto anche l’obbligo di esposizione del cartello di cantiere.
Un mancato rispetto di tale quadro normativo è sanzionato ex art. 44, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001, essendo configurabile indipendentemente dal fatto che l’intervento edilizio sia assoggettato a permesso di costruire o a SCIA.
Per gli Ermellini, infatti, la violazione di natura penale sussiste ogni volta che il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello, anche nell’ipotesi in cui il titolo rilasciato non sia il permessi di costruire.
Inoltre, prosegue ancora la sentenza, la violazione è prevista sia nel caso in cui la condotta sia compiuta dal titolare del titolo abilitativo, sia che sia commessa dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori, trattandosi di soggetti responsabili rispetto all’obbligo di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive che risultano dalla normativa.
Per quanto infine concerne la contestata acquisizione del regolamento comunale, da parte del giudice, via web e non d’ufficio, i giudici della Suprema Corte sottolineano che oltre ad essere un atto necessario i regolamenti sono un’espressione della potestà normativa attribuita all’amministrazione, secondaria a quella legislativa ma comunque innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente.
Il giudice ha dunque doverosamente e correttamente ritenuto di rinvenire in tal modo la normativa applicabile nel caso concreto, senza che fosse necessario procedere ad acquisizione probatoria.
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