La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10002/2022, si è espressa sulla relazione sussistente tra la realizzazione di piscine e la richiesta del condono edilizio.

Intervenuta per esprimersi sull’annullamento di un’ordinanza del Tribunale con cui era stata rigettata l’istanza di revoca dell’ingiunzione di demolizione, nella sua pronuncia la Suprema Corte ha effettuato alcune interessanti valutazioni sul caso, ricordando innanzitutto che per ottenere il condono edilizio la costruzione deve risultare ultimata.

Naturalmente, tutto ciò in relazione alla piscina non può che subire qualche piccolo accorgimento interpretativo, con la conseguenza che la piscina risulterà essere ultimata se è utilizzabile, ovvero se è dotata del rivestimento interno che, in tal senso, non rappresenta solo una mera rifinitura, bensì un elemento essenziale per il completamento della piscina.

Se quanto sopra è chiaro, dunque, dovrebbe esserlo altresì il fatto che una piscina che non possiede la copertura e il rivestimento interno non può ritenersi utilizzabile e ultimata. E, a tal fine, non è possibile ottenere per essa il condono edilizio.

Ricordiamo che la precedente sentenza n. 1913/2019 da parte della Cassazione ha ritenuto la costruzione di una piscina, anche se interrata, alla pari della generazione di una nuova volumetria, divenendo così equiparabile a una nuova costruzione che necessita del permesso di costruire. Nel caso in cui poi la sua realizzazione sia effettuata in una zona sottoposta a vincolo ambientale, andrà altresì richiesta l’autorizzazione paesaggistica.

Chi costruisce una piscina senza permesso commette un reato di abuso edilizio, che prevede sia la sanzione amministrativa da 5.164 euro a 51.645 euro di multa, sia quella penale. Il responsabile dell’abuso avrà inoltre l’onere di ripristinare lo stato originario del luogo entro 90 giorni, durante i quali dovrà eliminare l’intervento illegale o procedere con il demolire la costruzione.