Per ottenere il permesso in sanatoria di un immobile abusivo, conseguendo in tal modo i benefici del condono edilizio, non è necessario che si proceda al completamento totale dell’edificio, rendendo così inutili – almeno, a tale scopo – la realizzazione delle finiture.

A sostenerlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 33083/2021, che ha sostanzialmente ribaltato la sentenza di appello su un condono edilizio che era stato disposto da un Comune nel febbraio 2018, illegittimo poiché – secondo i giudici di appello – le opere oggetto della sanatoria non erano state ultimate alla data del 31 dicembre 1993, sicché – al di là del calcolo della cubatura realizzata – non potevano essere assentite in sede amministrativa. Dunque, la Corte d’Appello ribadiva l’ordine di demolizione del manufatto anche in presenza di un permesso di costruire rilasciato in sanatoria dal Comune, in ossequio alle norme sul condono edilizio del 1994.

Per gli Ermellini, però, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente assunto la nozione di completamento dell’opera tratta dalla disciplina penale, secondo la quale il completamento deve essere “pieno”. Ai fini della nozione condonistica, invece, per accedere al beneficio è sufficiente che siano realizzate le strutture principali dell’opera.

In altri termini, e rifacendoci alla fattispecie oggetto della pronuncia della Cassazione, per assoggettare temporalmente l’edificio al condono edilizio è sufficiente che lo stesso presenti il completamento della copertura e il tamponamento delle mura perimetrali, senza pertanto che siano necessariamente realizzate le finiture.

La Corte d’Appello avrebbe così utilizzato un approccio errato, non tenendo correttamente conto del verbale di sopralluogo redatto dalla Polizia municipale, dalle cui risultanze poteva desumersi che l’immobile in questione, alla data di interesse, fosse già completo in tutte le sue strutture essenziali, come la copertura e le mura perimetrali, oltre che i servizi.