Come noto, gli edifici devono rispettare alcune regole in materia di distanze legali. Nell’ipotesi in cui tali norme siano oggetto di violazione, il proprietario confinante può legittimamente impugnare il titolo edilizio. Ma cosa accade se a impugnare i titoli edilizi è un terzo che non confina direttamente con gli immobili che non avrebbero rispettato le distanze legali? Costui è legittimato all’azione o no?

A dirimere l’interessante questione ci ha pensato il Consiglio di Stato che, con sentenza n. 22 del 9 dicembre 2021, ha fornito diversi significativi spunti che hanno posto fine all’interrogativo in apertura di nostro approfondimento.

Nelle prossime righe cercheremo di sintetizzare l’opinione del Consiglio di Stato, che ha chiarito se, effettivamente, un terzo non confinante possa impugnare i titoli edilizi altrui lamentando che i vicini non abbiano rispettato le regole sulle distanze tra le loro costruzioni, senza però che questa violazione riguardi la sua abitazione.

I criteri per l’impugnazione

Secondo il Consiglio di Stato, la legittimazione e l’interesse al ricorso costituiscono due condizioni dell’azione distinte e autonome. Pertanto, affinché il terzo non confinante sia legittimato a impugnare i titoli edilizi è necessario che tale determinanti siano contemporaneamente verificate, considerato che il criterio della vicinitas, come elemento di differenziazione, da solo non basta per dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso.

Di contro, sottolinea il Consiglio di Stato, per legittimare l’azione del terzo è necessario che sussista un pregiudizio che derivi dall’intervento edilizio che viene presunto illegittimo, e che può ricavarsi da quanto viene allegato in sede di ricorso. Allegazioni che, peraltro, possono essere oggetto di ulteriori precisazioni nel caso in cui il danno sia posto in dubbio dalla controparte o dal giudice.

Quanto sopra non significa, naturalmente, che il terzo non confinante non possa in ogni caso impugnare i titoli edilizi. Tuttavia, la violazione delle distanze deve essere rilevante anche per costui, in modo tale che con l’annullamento del titolo edilizio possa esser generato un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non solo emulativo.

I principi di diritto

Può dunque essere utile rammentare quali siano i principi di diritto formulati dalla sentenza del Consiglio di Stato, a cominciare con il ricordo che “nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”.

Dunque, l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio che deriva dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo, dovrà essere ricavato dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, e “l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.”.

Infine, “nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.