Per poter ricondurre le attività di demolizione e di ricostruzione di un rudere all’interno del novero della ristrutturazione edilizia, è necessario dimostrare l’originaria consistenza dell’immobile. A sostenerlo è la recente sentenza n. 517/2020 del Tar Brescia, che fa ulteriore chiarezza su quale siano i presupposti affinché la demolizione e la ricostruzione di un immobile allo stato di rudere o non più esistente, possano essere configurate appunto come ristrutturazione edilizia e non come nuova costruzione.

Per poter comprendere in che modo i giudici siano arrivati a tale valutazione di sintesi può essere utile riepilogare il caso in valutazione al Tar, che trae origine dalla condotta di alcuni cittadini privati, che presentavano domanda al Comune per la ricostruzione di un fabbricato preesistente, demolito diversi anni prima.

Ebbene, dinanzi a tale richiesta il Comune rispondeva negativamente, perché riteneva che l’intervento di ricostruzione dell’immobile demolito costituiva una costruzione non ammessa dal PGT (Piano di Governo del Territorio) introdotto dalla legge regionale.

Gli stessi privati sceglievano pertanto di procedere con un ricorso ai giudici amministrativi, lamentando la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. d) del dpr 380/2001, secondo cui gli interventi di ristrutturazione edilizia sono definibili come “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.

Demolizione e ricostruzione rudere: cosa è necessario per poter ricondurre tale attività all’interno della ristrutturazione edilizia?Ebbene, nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli che consistono nella demolizione e nella ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, eccezion fatta per quelle mere innovazioni che si rendono necessarie per adeguare la costruzione alla normativa antisismica, e ancora per quelle che si rendono necessarie per poter ripristinare l’edificio, o una parte di esso, eventualmente  crollato o demolito, a patto che sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

In tale ambito non è un caso che i giudici amministrativi nelle loro motivazioni richiamino alla mente l’art. 30 del dl n. 69/2013, che ha modificato il già rammentato art. 3 del dpr 380/2001, ricomprendendo fra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Dunque, dallo scorso 2013 la legislazione ha evidentemente allargato il concetto di ristrutturazione alla demolizione / ricostruzione di edifici diruti, ovvero quelli anche parzialmente demoliti o crollati. Tuttavia, quanto appena affermato rimane valido solamente se sia possibile ricostruire con un discreto grado di sicurezza la consistenza originaria dell’edificio, utilizzando come “prove” elementi come la documentazione fotografica, aerofotogrammetrie, mappe catastali, altri elementi certi e verificabili.