La recente sentenza n. 157/2022 da parte del Consiglio di Stato è intervenuta sul tema degli abusi edilizi e dei volumi tecnici, contribuendo a fare chiarezza su un tema sempre particolarmente dibattuto.
Nella fattispecie, ai giudici di Palazzo Spada è stato sottoposto il caso di un ampliamento di un originario balcone, con traslazione della ringhiera protettiva e con installazione di pavimentazione del lastrico solare a copertura di un corpo di fabbrica sottostante, e ampliamento in muratura per creare un bagno che il ricorrente ha definito essere “volume tecnico”. Gli accertamenti effettuati hanno tuttavia scaturito un ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, che ha determinato il ricorso con cui si contesta la mancata prova della risalenza dei manufatti contestati e l’inesistenza dei titoli abilitativi che ne legittimavano la realizzazione, e la violazione degli art. 3 e 33 del Testo Unico Edilizia, censurando così la sentenza nella parte in cui negava la natura di volume tecnico del vano w.c.
Prima di procedere oltre, giova ricordare che gli abusi edilizi possono essere suddivisi in due categorie:
gli abusi edilizi formali, intendendo come tali gli interventi realizzati in assenza di titolo edilizio, che avrebbero però essere potuti realizzati e che potrebbero essere realizzati nel momento in cui si chiede un accertamento di conformità. Dunque, in seguito all’istanza di accertamento, qualora dovesse risultare che l’intervento non sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento della presentazione della domanda, sarà possibile ottenere la sanatoria edilizia;
gli abusi edilizi sostanziali, che sono invece quegli interventi che non avrebbero dovuto essere realizzati perché la normativa non li consente. In queste ipotesi scatta l’ordine di demolizione o, se questa non può avvenire senza pregiudizio della parte che è invece conforme, la fiscalizzazione dell’abuso.
Ora, nella sua articolata sentenza, il Consiglio di Stato ha effettuato alcuni interessanti chiarimenti, partendo dall’individuazione dei requisiti che sono propri del volume tecnico (nella fattispecie, il bagno). In particolare, il volume tecnico deve:
essere funzionale, con rapporto di strumentalità necessaria con l’uso della costruzione;
non essere potenzialmente progettabile con soluzioni diverse, nel senso che la costruzione tecnica non deve essere ubicata all’interno della parte abitativa;
essere caratterizzato da un rapporto di proporzionalità fra il volume tecnico e le esigenze edilizie completamente prive di autonomia funzionale, anche potenziale, poiché destinate a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale stessa.
Ora, come sottolineano i giudici, il fatto che – come affermato dal ricorrente – l’intervento risalisse agli inizi del ‘900 non era stato comprovato. Di contro, il locale in questione – come era stato rilevato correttamente dal Tar – non viene destinato a ospitare un impianto servente che non poteva trovare collocazione all’interno dell’abitazione, ma consiste in un vero servizio igienico.
Questa destinazione funzionale sarebbe in grado di differenziare tale locale dagli spazi accessori privi di rilievo urbanistico, in quanto determina un ampliamento della superficie residenziale e dell’originaria volumetria.
Infine, con ulteriore considerazione sull’interesse pubblico a demolire, il Consiglio di Stato ha confermato l’irrilevanza dell’omessa specificazione dell’interesse pubblico alla demolizione del manufatto.
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