Il muro di contenimento, o di cinta, è un muro isolato di altezza non superiore ai 3 metri che non viene considerato per il computo della distanza di cui all’art. 873 c.c. Posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo di appoggio, a patto che non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai 3 metri.

Su tale elemento è nuovamente intervenuta la Corte di Cassazione, che ne fissa i requisiti stabilendo quello dell’isolamento delle facce, quello dell’altezza non superiore a 3 metri e quello della sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà.

L’occasione dell’intervento dei giudici della Suprema Corte si è reso possibile in seguito al ricorso conseguente a pronuncia di primo grado del Tribunale, con la quale veniva accolta la proposta di manutenzione del possesso ex art. 703 c.p.c. e ex art. 1170 c.c., da parte del confinante, per violazione delle distanze legali degli edifici e chiusura di nuove finestre e vedute.

La Corte di appello aveva invece deciso in senso opposto, ritenendo l’appello fondato, considerato che il muro di contenimento e la sua sopraelevazione non costituivano costruzione, risultando infatti rispettata la distanza minima tra i fabbricati di 3 metri, ex art. 873 c.c.

Per i giudici di Cassazione, però, il muro era posto al confine di due fondi con dislivello naturale, con i giudici di merito che avevano già escluso che vi fosse terrapieno creato dall’opera dell’uomo. Ora, considerato che il muro non riguardava un terrapieno, ovvero un riempimento creato dall’opera dell’uomo al di sopra del declivio naturale del terreno, non poteva essere considerato costruzione ex art. 873 c.c.. Per prevalente orientamento giurisprudenziale, non sono considerati costruzione i manufatti interrati, che non fuoriescono dal livello naturale del terreno.