Come si misura correttamente la distanza tra due edifici? A dirimere i dubbi intorno a tale questione ha pensato la recente sentenza n. 10580/2019 della Corte di Cassazione, che ha precisato come la distanza tra edifici deve essere calcolata in modo lineare e non radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute.

Esprimendosi sul caso concreto di due edifici contrapposti l’uno all’altro solo di spigolo, e non antagonisti, nella pronuncia in esame i giudici della Suprema Corte hanno ribadito come secondo l’orientamento prevalente della Cassazione le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare.

Dunque, per gli Ermellini, il giudice in sede di appello avrebbe erroneamente affermato che la distanza di 10 metri non sarebbe stata rispettata, sebbene conteggiata in modo ortogonale.

Nelle sue conclusioni, la Suprema Corte specifica pertanto il principio secondo cui “le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare; anzitutto lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c. è quello di impedire la formazione di intercapedini nocive, sicché la norma cennata non trova giustificazione se non nel caso che i due fabbricati, sorgenti da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggino, anche in minima parte, nel senso che, supponendo di farle avanzare verso il confine in linea retta, si incontrino almeno in un punto” (così Cass. 2548/1972, più di recente cfr. Cass. 9649/2016)”.

In linea con il dettato disciplinare di cui all’art. 873 c.p.c., ai Comuni è solamente consentito stabilire negli strumenti urbanistici delle distanze maggiori, ma non la facoltà di alterare il metodo di calcolo.