Con la sua sentenza n. 2680/2020, il Consiglio di Stato ha chiarito come gli oneri di concessione in sanatoria debbano essere conteggiati nel momento del rilascio del titolo, e non in quello della presentazione della domanda. Un importante chiarimento che trae origine da un caso specifico, del quale ci occuperemo nelle prossime righe, al fine di comprendere in che modo si è giunti a tale valutazione.

Il caso

Il caso inizia con i proprietari di un fabbricato rurale che presentavano una richiesta di concessione in sanatoria per poter ampliare la cubatura dell’immobile, e cambiarne la destinazione d’uso.

Nel momento in cui veniva rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria, il Comune provvedeva a ricalcolare gli oneri accessori. Considerato che il ricalcolo ha determinato un aggravio nei confronti dei proprietari dell’immobile, costoro decidevano di impugnare l’atto comunale presso il Tribunale amministrativo regionale, che dava loro ragione.

Il Comune sceglieva così di ricorrere in appello, impugnando il giudizio del Tar.

In quale momento devono essere conteggiati gli oneri di concessione in sanatoria? Al rilascio del titolo o alla presentazione della domanda?Il Consiglio di Stato

Si arriva così in sede di Consiglio di Stato, secondo cui in realtà il Comune aveva correttamente applicato la rideterminazione degli oneri dovuti per il rilascio della concessione in sanatoria.

Per i giudici, infatti, gli oneri concessori devono essere determinati secondo le tabelle che risultano essere in vigore al momento del rilascio del titolo in sanatoria, e non della presentazione della domanda.

I giudici precisano infatti che è solamente nel momento in cui viene adottato il provvedimento di sanatoria che il manufatto diviene legittimo, ed è quindi in quel preciso momento che concorre alla formazione del carico urbanistico che costituisce il presupposto sostanziale del pagamento del contributo.

“La tesi dell’appellante, per cui gli oneri concessori vanno determinati secondo le tabelle vigenti al momento del rilascio del titolo in sanatoria e non della presentazione della domanda, è stata successivamente seguita dallo stesso Giudice di primo grado e trova avallo nella giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui essa trova fondamento, in primo luogo, nell’applicazione del canone tempus regit actum, perché è soltanto con l’adozione del provvedimento di sanatoria che il manufatto diviene legittimo e, quindi, concorre alla formazione del carico urbanistico che costituisce il presupposto sostanziale del pagamento del contributo e, in secondo luogo, su considerazioni di ordine teleologico, in quanto consente di meglio tutelare l’interesse pubblico all’adeguatezza della contribuzione rispetto ai costi reali da sostenere” – afferma infatti la sentenza del Consiglio di Stato, per poi precisare che per “misura stabilita dalla disciplina vigente”, si intende – appunto – “quella stabilita dalle tabelle che erano in vigore al momento della definizione del procedimento di sanatoria”.