Secondo quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15178/2019, la distanza di 10 metri tra edifici va sempre rispettata, anche nelle ipotesi in cui solo una delle pareti degli edifici antistanti sia finestrata.

Tralasciando il fatto concreto, e concentrandoci esclusivamente sulla pronuncia della Suprema Corte, rammentiamo come nelle proprie motivazioni gli Ermellini abbiano premesso che in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e gli edifici antistanti deve essere rispettata da tutti i Comuni, e il giudice è dunque tenuto ad applicarla anche nell’ipotesi in cui vi siano norme contrastanti negli strumenti urbanistici locali. Ne deriva che nel caso in cui i Comuni applichino delle norme locali non coerenti con quanto stabilito dal d.m. n. 1444/1968, c’è violazione della legge.

Non solo. Richiamando alla mente la conclusione di cui alla sentenza n. 20548/2017 da parte della stessa Cassazione, la distanza minima di 10 metri deve essere rispettata sempre, anche nell’ipotesi in cui ad essere finestrata sia una sola delle pareti che fronteggiano l’edificio vicino. Non conta dunque se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente a questo fine che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, anche se solo una parte di essa si trova a distanza minore da quella prescritta.

Terminata la fase analitica giurisprudenziale, la dottrina sottolinea come la situazione si potrebbe presto complicare notevolmente anche con l’approvazione definitiva del decreto Sblocca cantieri, visto e considerato che la normativa prevede che le Regioni e le Province autonome possano inserire delle deroghe al d.m. n. 1444/1968, in materia di limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati, e deroghe in materia di standard urbanistici.